La storia dei quasi

Un blog, un'idea, l'incessante voglia di dire qualcosa, anche qualcosa di inutile non fa differenza. Eppure eccoci qua. Se sei approdato su queste pagina sappi che non è colpa tua, l'autore si assume la piena responsabilità di ciò che accade tra queste pagine, o anche di ciò che non accade.

I Quasi della Vita è un posto come tanti, una storia come tante. La storia di come nella vita qualcosa può andare bene ma, per un motivo o per un altro finisce male. La storia di come quel piccolo, infinitesimale e bastardissimo "quasi" separa la gloria dall'ennesima cosa incompiuta. E questo ti basta sapere.

lunedì 19 novembre 2012

Cos'è la felicità?



Cos’è la felicità?
Pensando a questa domanda mi sono accorto di una cosa buffa: le domande più semplici sono quelle che generano i noi quesiti più grossi. Nulla ti rivolta dentro come una domanda del genere. Ti segna dentro perché diamo per scontato di avere una risposta, di sapere cos’è per noi questo o quello ma poi, quando ti ritrovi a dover rendere partecipe gli altri dei tuoi moti interni, ti rendi conto di essere vuoto o, nella migliori delle ipotesi, molto confuso.
La domanda di certo non sarà passata inosservata nella storia dell’umanità, per tanto che bisogno c’è di tormentarsi l’anima quando sicuramente qualcuno avrà trovato già una risposta. Quando una cosa ci sembra troppo difficile da capire, preferiamo sempre affidarci ad altri piuttosto che concentrarci su noi stessi. Facile quindi lasciarsi andare al citazionismo più sfrenato, basta guardarsi un attimo intorno e scoprire che “i grandi del passato” hanno dato la loro personale risposta alla domanda. Il passatismo colpisce ancora, ma più che altro quella riverenza che si ha nei confronti di chi ha un nome – per così dire – di spessore. Cosa ne sanno i grandi “pensatori” più di me? La felicità di cui parlano loro, del resto, non è la stessa che provo io? Per cui chi più di me stesso può avere una risposta che sia valida per me e per me solo?
Ecco, il presupposto principale è questo: la felicità esiste in tanti modi diversi per quante sono le persone. Per quanto possa sembrare un pensiero scontato, è una di quelle verità che mette a tacere l’anima. Sarà anche così però noto che c’è spesso una diretta consequenzialità tra amore e felicità. Be, certo, molte persone innamorate sono anche felici, su questo non ci piove, altrettanto semplice è stabilire che con certezza che la felicità non dipende dall’amore. Chi non è innamorato di conseguenza dovrebbe essere triste, e in alcuni isolati casi sarà anche così, ma non per questo bisogna farne una legge universale.
Allora cos’è la felicità? Da dove deriva? La felicità non è un sentimento, è una sensazione, uno status in cui l’organismo può venirsi a trovare. Amore, amicizia, autostima, soddisfazione e tutte altre piacevolissime sensazioni per me sono dei catalizzatori. L’amore, ad esempio, è il catalizzatore perfetto per trovarsi in questo status. Quando si è innamorati è più facile essere felici, è più facile apprezzare ciò che la vita ci da. Forse è per questo che erroneamente vengono accostati.
Per me la felicità non è altro che equilibrio, è la sottile oscillazione tra desiderio e disponibilità. E’ quello spazio in cui ciò che si ha non troppo è diverso da ciò che si desidera. Lì, in quel piccolo frangente, sono felice. Che poi a conti fatti, quando si è felici non si ha nemmeno bisogno di chiederselo.
Non ho bisogno di sapere cos’è la felicità, mi basta sapere che la felicità è ora...

sabato 15 settembre 2012

Sotto un cielo così grigio


Un cielo grigio si staglia all’orizzonte. Temiamo quel colore perché porta pioggia. Immaginiamo tempeste solo perché non sappiamo presagire cosa accadrà. Al cielo non importa delle nostre paure. Non si cura dei nostri volti bagnati, non si preoccupa se abbiamo l’ombrello. E’ equo. Non cambia i suoi piani perché qualcuno ha un appuntamento.
La pioggia non ci spaventa, è il non sapere che ci terrorizza. L’ignoto è da sempre il peggior mostro che ci portiamo dentro. Il cielo non conosce i nostri mostri. In lui c’è la stessa gioia di chi vive senza preoccuparsi del domani. Il sorriso di chi sa che non c’è nulla da temere. La forza di chi è indifeso e non ha paura di nulla.
Sotto un cielo così grigio, ci si può aspettare di tutto. E se piove, ci bagneremo. Insieme, col sorriso.


domenica 9 settembre 2012

Veloce veloce veloce veloce

Di un esperimento di parole un po' distorte un po' contorte. Lo dico qua in questa testacuore un po' andata. Dov'è? E' qui sotto il cartello con su scritto vivimi. E' lei, non ti puoi sbagliare. Prova solo a cercare. Cercala. Non te pentirai, o forse sì, i giudizi prematuri non servono mai a nulla.
E. Una parola con cui inizio molte frasi. E. E'. E mi piace così. Tempo al tempo. Scritto al scritto che le parole corrono. Sporcano il foglio arrogantemente, riflettono pensieri senza pensarci troppo. Eccole, le parole. Loro scorrono anche senza musica, parlano anche senza voce.
Tu, esatto, dico proprio a te. Cosa vuoi farne di queste parole? La tua è una responsabilità che non vorrei mai avere. Affidare le parole è più facile che riceverle. Sai, quando qualcuno ti affida le sue parole compie un atto di fiducia incondizionata, affida la propria anima a chi avrà voglia di rispondere. E questi invece ha il compito più grosso che si possa affidare una persona: decidere per gli altri.
E quindi, cosa farai con quelle parole?

lunedì 3 settembre 2012

Rifugio

Tutti abbiamo un piccolo rifugio. Un luogo in cui il resto del mondo non esiste. Un piccolo spazio inviolato in cui si sentirsi protetti. Come la mano di un bambino che stringe quella materna, come il caldo abbraccio della persona amata. Un nascondiglio in cui fuggire quando il mondo fa paura.


lunedì 27 agosto 2012

Lettera ad una sconosciuta - Numero 3



Ciao Sconosciuta.
Sono stato via, anche tu del resto. Eppure eccoci di nuovo qui, con la nostra inconsistente conoscenza, a raccontarci parole non ancora dette. A volte ti vedo. Ti scorgo tra lo sguardo della gente. Ti vedo negl’occhi accesi di chi legge un libro. Ti vedo sulle labbra di chi cerca di regalare un sorriso a qualcuno un po’ giù. Sei lì, in tutte le tue forme. Esisti in una piccola frazione di secondo. Sei l’istante di vita migliore che conosca.
E’ uno spazio infinitesimale eppure così grande ai miei occhi. Il sottile confine in cui la materia si fonde con lo spirito. Tu sei lì. In quel centimetro in cui tutto è in perfetto equilibro.
Quando ti vedo in forme altrui ho paura. Sì, paura. A furia di vederti vestire vite altrui ho paura di confondermi, di innamorarmi di una sconosciuta che in realtà non mi conosce.
Tu sai chi sono. Mi vedi. Queste parole ti dicono tutto. E’ una lingua che solo io e te conosciamo.
Un giorno verrò da te con la canzone della mia vita e tu saprai già lo spartito a memoria. Col sorriso sulle labbra mi dirai che la mia è una melodia fantastica ma incompleta. E la cosa più bella è che ti basterà un dito. Toccandomi scoprirai una nota che non sapevo di avere. Sarai tu la mia ottava nota. Ed eccoci lì, in quel piccolo spazio, insieme a cambiare musica.
Intanto aspetto il giorno in cui, accordandomi l’anima, inizierai a suonarmi…




domenica 5 agosto 2012

Sogno 3-08-12


Per quanto ci sia qualcosa di profondamente umanistico - a tratti anche da sfiorare leggermente l'arte - c'è qualcosa di altrettanto matematico, sepolto da qualche parte. Un frattale infinito, distante, capace di riemergere con matematica cattiveria di tanto in tanto.
Nel sogno ero un professore di matematica artistica. Avevo la mia bella classe, una giacca orrenda (che fa enormemente cliché) e spiegazioni astruse, probabilmente inutili, sull'arte.
Guardavo i miei studenti, come se da me dipendessero i loro pensieri. Gli chiedevo: <<Allora ragazzi, chi sa dirmi i rudimenti matematici dell'arte?>> Ovviamente, nessuna risposta. Vado alla lavagna e inizio a scrivere: pittura, scultura, lettura...
Cos'è la pittura? In molti direbbero che l'arte attraverso la quale si fissano pigmenti colorati su un determinato supporto allo scopo di ricreare un'immagine scelta dall'autore. Spiegazione semplice ma ineccepibile. Dico alla classe che non basta. La radice matematica della pittura deriva dalla semplice addizione. Il pittore non fa altro che aggiungere la vernice alla tela, unisce i colori tra di loro, somma le sfumature con le linee. La sua non è altro che una complessa equazione artistica, in cui la capacità più grande è espressione di una corretta analisi dello strumento di lavoro unito al materiale a disposizione. Le stessa immagine va scomposta in tante più piccole. Un corpo è un insieme di arti e organi, un paesaggio è il risultato di un'addizione naturale di elementi. Il pittore non è altro un matematico che fa dei colori il suo abecedario.
Spiego ai miei studenti che lo stesso discorso va fatto con la scultura, solo che questa, invece, è un'arte sottrattiva. Usate l'immaginazione. Concentratevi su un blocco di pietra grezza. Lì, in quello stesso blocco, c'è l'opera finita. Basta solo eliminare i pezzi in eccesso. Lo scultore non fa altro che applicare una sottrazione artistica al suo materiale. La sua dote risiede unicamente nel saper riconoscere la differenza tra utile ed inutile, tra arte e prodotto di scarto. Fatto questo non deve far altro che sottrarre.
E questo vale per qualunque cosa. Cos'è la scrittura ragazzi? La grammatica non segue forse leggi molto simili alla matematica? Un capolavoro letterario in cosa si differenzia rispetto un frase senza senso? Ovviamente dalle parole usate e dal loro ordine. La scrittura è una duplice arte, fatta di ordine e probabilità. L'artista, usando il dizionario come prodotto grezzo, non fa altro che disporre ordinatamente le parole e, riassumendo il tutto ad una questione di probabilità, ogni parola scelta in quella determinata posizione, farà in modo che il componimento possa risultare sia grammaticalmente adatto sia stilisticamente perfetto. La scrittura fonde l'arte additiva e sottrattiva. Si aggiungono le parole più adatte, e si sottraggono quelle prive di senso. Il resto è solo un calcolo probabilistico. Un'insieme di equazioni di successo. Il grande artista ha la capacità di rendere Il Teorema dell Scimmia Instancabile un fenomeno routinario, in cui premere un tasto a caso non è tanto un caso.
I miei studenti sembrano convinti, affascinanti. La campanella suona. Alla prossima lezione...

giovedì 2 agosto 2012

Infradito


L’agente che mi sta di fronte mi guarda come se fossi pazza. Il suo collega, invece, ha lo stesso sguardo di chi si trova davanti ad un cucciolo preso a sprangate. E’ buffo ma tutti gli uomini della mia vita mi hanno sempre visto nello stesso modo, per loro o ero una squilibrata o una povera deficiente indifesa. A trent’anni suonati, ancora devo decidere quale delle due cose sia più irritante.
Entrambi mi fanno domande su domande. Dicono che tutti i dettagli possono essere utili. Dicono che posso farcela, che sono forte, che sono stata brava. Si sbagliano. Sono solo triste e patetica. Cerco di restare concentrata. Restare in questo posto che gli altri chiamano realtà è tremendamente difficile per me. Da quando mi hanno violentata tutto è tremendamente difficile per me. Non sono più una persona, ma un riassunto umano. La versione integrale di me è rimasta lì, in quel vicoletto sporco di ingiustizia e lacrime.
Gli agenti continuano a parlare. Ormai li ascolto a tratti. Mi sento come una televisione rotta che perde il segnale in continuazione. Se c’è una cosa che non mi è stata strappata via quella sera è la mia fantasia. Quando mi assento dalla realtà mi sento protetta. Tutti abbiamo un piccolo rifugio. Un luogo in cui il resto del mondo non esiste. Un piccolo spazio inviolato in cui si sentirsi protetti.  Come la mano di un bambino che stringe quella materna, come il caldo abbraccio della persona amata. Un nascondiglio in cui fuggire quando il mondo fa paura. Durante i miei viaggi non può succedermi nulla, ed è solo in quei momenti che riesco a trovare un po’ di pace.
Gli agenti continuano a blaterare. Non riescono a fare a me di parlare della mia forza. Della mia straordinaria capacità di reagire. Che ne sanno loro? Se solo sapessero come cammino per strada. Ho paura. Ho tremendamente paura. Una volta era una persona normale, ora sono solo triste, patetica e paranoica. Cammino guardando male chiunque, persino dei bambini che giocano mi sembrano dei potenziali stupratori. Ogni passo che faccio è incerto. Non importa quale sia la via, io cammino sempre su una fune sospesa per aria. E il guaio è che non ho la minima idea di quando farò un passo falso.
Mi ricollego al mondo reale, ma non vorrei. Alcune domande mi riportano a quegl’attimi. Tremo. E’ buffo come si finisce a pensare alle cose più assurde mentre ti stuprano. Prima di arrendermi definitivamente ho pensato che era assurdo essere violentate in infradito. Sarà che sono particolarmente esigente sul vestire e pretendo l’abito giusto in ogni momento ma, incredibile a dirlo, se mi fosse stata concessa la possibilità di scegliere avrei impiegato un’ora per decidere che scarpe mettere. Questo però lo tengo per me, sono già abbastanza pazza agl’occhi dell’agente.
Ho sempre vissuto nella sicurezza che certe cose accadono in posti lussuriosi, nei viottoli vicino a night-club e localini esotici. A me è successo mentre tornavo a casa dopo aver fatto la spesa. Se questo mi rende ancora più patetica o particolarmente attraente da meritare uno stupro, questo proprio non lo so. Ricordo la lotta, la volontà di sopravvivere. La forza con cui volevo difendere qualcosa che fino a quel momento avevo considerato solo mio. La parte più triste è stata la consapevolezza di ciò che sarebbe successo. Non il dolore, non la paura, a distruggermi è stato il terrore dell’inevitabile, quella sensazione che ti prende quando ti senti assolutamente indifeso. Così mi sono lasciata andare. Mi sono spenta. Ero lì, ma allo stesso tempo viaggiavo lontana, al di fuori del mio corpo, al di fuori di tutto.
Ecco cosa racconto agli agenti quando mi chiedono come sto. Quel giorno sono stata svuotata. Hanno aperto un buco in me e da lì è fuoriuscita la mia anima. Da allora con la testa viaggio alla ricerca di me stessa. Lo so, sono lì, da qualche parte. Magari un giorno mi ritroverò a sedere tranquilla ad un bar. Chissà se avrò un bel paio di scarpe. Del resto, cosa volete che faccia una donna patetica?




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