La storia dei quasi

Un blog, un'idea, l'incessante voglia di dire qualcosa, anche qualcosa di inutile non fa differenza. Eppure eccoci qua. Se sei approdato su queste pagina sappi che non è colpa tua, l'autore si assume la piena responsabilità di ciò che accade tra queste pagine, o anche di ciò che non accade.

I Quasi della Vita è un posto come tanti, una storia come tante. La storia di come nella vita qualcosa può andare bene ma, per un motivo o per un altro finisce male. La storia di come quel piccolo, infinitesimale e bastardissimo "quasi" separa la gloria dall'ennesima cosa incompiuta. E questo ti basta sapere.

lunedì 19 novembre 2012

Cos'è la felicità?



Cos’è la felicità?
Pensando a questa domanda mi sono accorto di una cosa buffa: le domande più semplici sono quelle che generano i noi quesiti più grossi. Nulla ti rivolta dentro come una domanda del genere. Ti segna dentro perché diamo per scontato di avere una risposta, di sapere cos’è per noi questo o quello ma poi, quando ti ritrovi a dover rendere partecipe gli altri dei tuoi moti interni, ti rendi conto di essere vuoto o, nella migliori delle ipotesi, molto confuso.
La domanda di certo non sarà passata inosservata nella storia dell’umanità, per tanto che bisogno c’è di tormentarsi l’anima quando sicuramente qualcuno avrà trovato già una risposta. Quando una cosa ci sembra troppo difficile da capire, preferiamo sempre affidarci ad altri piuttosto che concentrarci su noi stessi. Facile quindi lasciarsi andare al citazionismo più sfrenato, basta guardarsi un attimo intorno e scoprire che “i grandi del passato” hanno dato la loro personale risposta alla domanda. Il passatismo colpisce ancora, ma più che altro quella riverenza che si ha nei confronti di chi ha un nome – per così dire – di spessore. Cosa ne sanno i grandi “pensatori” più di me? La felicità di cui parlano loro, del resto, non è la stessa che provo io? Per cui chi più di me stesso può avere una risposta che sia valida per me e per me solo?
Ecco, il presupposto principale è questo: la felicità esiste in tanti modi diversi per quante sono le persone. Per quanto possa sembrare un pensiero scontato, è una di quelle verità che mette a tacere l’anima. Sarà anche così però noto che c’è spesso una diretta consequenzialità tra amore e felicità. Be, certo, molte persone innamorate sono anche felici, su questo non ci piove, altrettanto semplice è stabilire che con certezza che la felicità non dipende dall’amore. Chi non è innamorato di conseguenza dovrebbe essere triste, e in alcuni isolati casi sarà anche così, ma non per questo bisogna farne una legge universale.
Allora cos’è la felicità? Da dove deriva? La felicità non è un sentimento, è una sensazione, uno status in cui l’organismo può venirsi a trovare. Amore, amicizia, autostima, soddisfazione e tutte altre piacevolissime sensazioni per me sono dei catalizzatori. L’amore, ad esempio, è il catalizzatore perfetto per trovarsi in questo status. Quando si è innamorati è più facile essere felici, è più facile apprezzare ciò che la vita ci da. Forse è per questo che erroneamente vengono accostati.
Per me la felicità non è altro che equilibrio, è la sottile oscillazione tra desiderio e disponibilità. E’ quello spazio in cui ciò che si ha non troppo è diverso da ciò che si desidera. Lì, in quel piccolo frangente, sono felice. Che poi a conti fatti, quando si è felici non si ha nemmeno bisogno di chiederselo.
Non ho bisogno di sapere cos’è la felicità, mi basta sapere che la felicità è ora...

sabato 15 settembre 2012

Sotto un cielo così grigio


Un cielo grigio si staglia all’orizzonte. Temiamo quel colore perché porta pioggia. Immaginiamo tempeste solo perché non sappiamo presagire cosa accadrà. Al cielo non importa delle nostre paure. Non si cura dei nostri volti bagnati, non si preoccupa se abbiamo l’ombrello. E’ equo. Non cambia i suoi piani perché qualcuno ha un appuntamento.
La pioggia non ci spaventa, è il non sapere che ci terrorizza. L’ignoto è da sempre il peggior mostro che ci portiamo dentro. Il cielo non conosce i nostri mostri. In lui c’è la stessa gioia di chi vive senza preoccuparsi del domani. Il sorriso di chi sa che non c’è nulla da temere. La forza di chi è indifeso e non ha paura di nulla.
Sotto un cielo così grigio, ci si può aspettare di tutto. E se piove, ci bagneremo. Insieme, col sorriso.


domenica 9 settembre 2012

Veloce veloce veloce veloce

Di un esperimento di parole un po' distorte un po' contorte. Lo dico qua in questa testacuore un po' andata. Dov'è? E' qui sotto il cartello con su scritto vivimi. E' lei, non ti puoi sbagliare. Prova solo a cercare. Cercala. Non te pentirai, o forse sì, i giudizi prematuri non servono mai a nulla.
E. Una parola con cui inizio molte frasi. E. E'. E mi piace così. Tempo al tempo. Scritto al scritto che le parole corrono. Sporcano il foglio arrogantemente, riflettono pensieri senza pensarci troppo. Eccole, le parole. Loro scorrono anche senza musica, parlano anche senza voce.
Tu, esatto, dico proprio a te. Cosa vuoi farne di queste parole? La tua è una responsabilità che non vorrei mai avere. Affidare le parole è più facile che riceverle. Sai, quando qualcuno ti affida le sue parole compie un atto di fiducia incondizionata, affida la propria anima a chi avrà voglia di rispondere. E questi invece ha il compito più grosso che si possa affidare una persona: decidere per gli altri.
E quindi, cosa farai con quelle parole?

lunedì 3 settembre 2012

Rifugio

Tutti abbiamo un piccolo rifugio. Un luogo in cui il resto del mondo non esiste. Un piccolo spazio inviolato in cui si sentirsi protetti. Come la mano di un bambino che stringe quella materna, come il caldo abbraccio della persona amata. Un nascondiglio in cui fuggire quando il mondo fa paura.


lunedì 27 agosto 2012

Lettera ad una sconosciuta - Numero 3



Ciao Sconosciuta.
Sono stato via, anche tu del resto. Eppure eccoci di nuovo qui, con la nostra inconsistente conoscenza, a raccontarci parole non ancora dette. A volte ti vedo. Ti scorgo tra lo sguardo della gente. Ti vedo negl’occhi accesi di chi legge un libro. Ti vedo sulle labbra di chi cerca di regalare un sorriso a qualcuno un po’ giù. Sei lì, in tutte le tue forme. Esisti in una piccola frazione di secondo. Sei l’istante di vita migliore che conosca.
E’ uno spazio infinitesimale eppure così grande ai miei occhi. Il sottile confine in cui la materia si fonde con lo spirito. Tu sei lì. In quel centimetro in cui tutto è in perfetto equilibro.
Quando ti vedo in forme altrui ho paura. Sì, paura. A furia di vederti vestire vite altrui ho paura di confondermi, di innamorarmi di una sconosciuta che in realtà non mi conosce.
Tu sai chi sono. Mi vedi. Queste parole ti dicono tutto. E’ una lingua che solo io e te conosciamo.
Un giorno verrò da te con la canzone della mia vita e tu saprai già lo spartito a memoria. Col sorriso sulle labbra mi dirai che la mia è una melodia fantastica ma incompleta. E la cosa più bella è che ti basterà un dito. Toccandomi scoprirai una nota che non sapevo di avere. Sarai tu la mia ottava nota. Ed eccoci lì, in quel piccolo spazio, insieme a cambiare musica.
Intanto aspetto il giorno in cui, accordandomi l’anima, inizierai a suonarmi…




domenica 5 agosto 2012

Sogno 3-08-12


Per quanto ci sia qualcosa di profondamente umanistico - a tratti anche da sfiorare leggermente l'arte - c'è qualcosa di altrettanto matematico, sepolto da qualche parte. Un frattale infinito, distante, capace di riemergere con matematica cattiveria di tanto in tanto.
Nel sogno ero un professore di matematica artistica. Avevo la mia bella classe, una giacca orrenda (che fa enormemente cliché) e spiegazioni astruse, probabilmente inutili, sull'arte.
Guardavo i miei studenti, come se da me dipendessero i loro pensieri. Gli chiedevo: <<Allora ragazzi, chi sa dirmi i rudimenti matematici dell'arte?>> Ovviamente, nessuna risposta. Vado alla lavagna e inizio a scrivere: pittura, scultura, lettura...
Cos'è la pittura? In molti direbbero che l'arte attraverso la quale si fissano pigmenti colorati su un determinato supporto allo scopo di ricreare un'immagine scelta dall'autore. Spiegazione semplice ma ineccepibile. Dico alla classe che non basta. La radice matematica della pittura deriva dalla semplice addizione. Il pittore non fa altro che aggiungere la vernice alla tela, unisce i colori tra di loro, somma le sfumature con le linee. La sua non è altro che una complessa equazione artistica, in cui la capacità più grande è espressione di una corretta analisi dello strumento di lavoro unito al materiale a disposizione. Le stessa immagine va scomposta in tante più piccole. Un corpo è un insieme di arti e organi, un paesaggio è il risultato di un'addizione naturale di elementi. Il pittore non è altro un matematico che fa dei colori il suo abecedario.
Spiego ai miei studenti che lo stesso discorso va fatto con la scultura, solo che questa, invece, è un'arte sottrattiva. Usate l'immaginazione. Concentratevi su un blocco di pietra grezza. Lì, in quello stesso blocco, c'è l'opera finita. Basta solo eliminare i pezzi in eccesso. Lo scultore non fa altro che applicare una sottrazione artistica al suo materiale. La sua dote risiede unicamente nel saper riconoscere la differenza tra utile ed inutile, tra arte e prodotto di scarto. Fatto questo non deve far altro che sottrarre.
E questo vale per qualunque cosa. Cos'è la scrittura ragazzi? La grammatica non segue forse leggi molto simili alla matematica? Un capolavoro letterario in cosa si differenzia rispetto un frase senza senso? Ovviamente dalle parole usate e dal loro ordine. La scrittura è una duplice arte, fatta di ordine e probabilità. L'artista, usando il dizionario come prodotto grezzo, non fa altro che disporre ordinatamente le parole e, riassumendo il tutto ad una questione di probabilità, ogni parola scelta in quella determinata posizione, farà in modo che il componimento possa risultare sia grammaticalmente adatto sia stilisticamente perfetto. La scrittura fonde l'arte additiva e sottrattiva. Si aggiungono le parole più adatte, e si sottraggono quelle prive di senso. Il resto è solo un calcolo probabilistico. Un'insieme di equazioni di successo. Il grande artista ha la capacità di rendere Il Teorema dell Scimmia Instancabile un fenomeno routinario, in cui premere un tasto a caso non è tanto un caso.
I miei studenti sembrano convinti, affascinanti. La campanella suona. Alla prossima lezione...

giovedì 2 agosto 2012

Infradito


L’agente che mi sta di fronte mi guarda come se fossi pazza. Il suo collega, invece, ha lo stesso sguardo di chi si trova davanti ad un cucciolo preso a sprangate. E’ buffo ma tutti gli uomini della mia vita mi hanno sempre visto nello stesso modo, per loro o ero una squilibrata o una povera deficiente indifesa. A trent’anni suonati, ancora devo decidere quale delle due cose sia più irritante.
Entrambi mi fanno domande su domande. Dicono che tutti i dettagli possono essere utili. Dicono che posso farcela, che sono forte, che sono stata brava. Si sbagliano. Sono solo triste e patetica. Cerco di restare concentrata. Restare in questo posto che gli altri chiamano realtà è tremendamente difficile per me. Da quando mi hanno violentata tutto è tremendamente difficile per me. Non sono più una persona, ma un riassunto umano. La versione integrale di me è rimasta lì, in quel vicoletto sporco di ingiustizia e lacrime.
Gli agenti continuano a parlare. Ormai li ascolto a tratti. Mi sento come una televisione rotta che perde il segnale in continuazione. Se c’è una cosa che non mi è stata strappata via quella sera è la mia fantasia. Quando mi assento dalla realtà mi sento protetta. Tutti abbiamo un piccolo rifugio. Un luogo in cui il resto del mondo non esiste. Un piccolo spazio inviolato in cui si sentirsi protetti.  Come la mano di un bambino che stringe quella materna, come il caldo abbraccio della persona amata. Un nascondiglio in cui fuggire quando il mondo fa paura. Durante i miei viaggi non può succedermi nulla, ed è solo in quei momenti che riesco a trovare un po’ di pace.
Gli agenti continuano a blaterare. Non riescono a fare a me di parlare della mia forza. Della mia straordinaria capacità di reagire. Che ne sanno loro? Se solo sapessero come cammino per strada. Ho paura. Ho tremendamente paura. Una volta era una persona normale, ora sono solo triste, patetica e paranoica. Cammino guardando male chiunque, persino dei bambini che giocano mi sembrano dei potenziali stupratori. Ogni passo che faccio è incerto. Non importa quale sia la via, io cammino sempre su una fune sospesa per aria. E il guaio è che non ho la minima idea di quando farò un passo falso.
Mi ricollego al mondo reale, ma non vorrei. Alcune domande mi riportano a quegl’attimi. Tremo. E’ buffo come si finisce a pensare alle cose più assurde mentre ti stuprano. Prima di arrendermi definitivamente ho pensato che era assurdo essere violentate in infradito. Sarà che sono particolarmente esigente sul vestire e pretendo l’abito giusto in ogni momento ma, incredibile a dirlo, se mi fosse stata concessa la possibilità di scegliere avrei impiegato un’ora per decidere che scarpe mettere. Questo però lo tengo per me, sono già abbastanza pazza agl’occhi dell’agente.
Ho sempre vissuto nella sicurezza che certe cose accadono in posti lussuriosi, nei viottoli vicino a night-club e localini esotici. A me è successo mentre tornavo a casa dopo aver fatto la spesa. Se questo mi rende ancora più patetica o particolarmente attraente da meritare uno stupro, questo proprio non lo so. Ricordo la lotta, la volontà di sopravvivere. La forza con cui volevo difendere qualcosa che fino a quel momento avevo considerato solo mio. La parte più triste è stata la consapevolezza di ciò che sarebbe successo. Non il dolore, non la paura, a distruggermi è stato il terrore dell’inevitabile, quella sensazione che ti prende quando ti senti assolutamente indifeso. Così mi sono lasciata andare. Mi sono spenta. Ero lì, ma allo stesso tempo viaggiavo lontana, al di fuori del mio corpo, al di fuori di tutto.
Ecco cosa racconto agli agenti quando mi chiedono come sto. Quel giorno sono stata svuotata. Hanno aperto un buco in me e da lì è fuoriuscita la mia anima. Da allora con la testa viaggio alla ricerca di me stessa. Lo so, sono lì, da qualche parte. Magari un giorno mi ritroverò a sedere tranquilla ad un bar. Chissà se avrò un bel paio di scarpe. Del resto, cosa volete che faccia una donna patetica?




mercoledì 1 agosto 2012

Una vita di citazioni Vol.3

Oggi è il turno di David Grossman. Come tanti altri riesci a racchiudere intere filosofie di vita in singole - splendide - frasi.


Amore è il fatto che tu sei per me il coltello col quale frugo dentro me stesso.


Anche solo immaginare il tuo modo di parlare mi calma. E mi rende felice. Mi scorre nel corpo come una medicina, facendoti gorgogliare dentro di me. Non smettere. Non smettere mai.



Dopo aver fatto l'amore, dormiremo abbracciati. La tua schiena contro il mio ventre. E io stringerò le dita dei piedi attorno alle tue caviglie, come delle mollette, perché tu non possa volar via la notte. Saremo come un'immagine in un libro di scienze: un frutto tagliato a metà, tu la buccia e io il torsolo.



È una legge non scritta: chi vuole starmi vicino deve assumersi la responsabilità della mia anima. Perché qualunque idiota può capire come sia facile uccidermi. Uno sguardo ben mirato basterebbe. Sono convinto che da qualche parte, dentro me, c'è un punto vulnerabile che chiunque, anche uno sconosciuto, può vedere e colpire. Eliminarmi con una parola.



Ma solo per iscritto, lascia che rimanga così. Con la speranza di avere entrambi la forza di combattere ancora le seduzioni della realtà.



Mi stringerai ancora più forte e mi bacerai con tutta l'anima, come se, così facendo, riversassi in me tutto quello che è racchiuso e celato in te, che si aprirà e si svelerà nel mio corpo, piano piano, finché tutto si scioglierà.



Se potessi ti comprerei una casa grande enorme capace di contenere la tua anima e la riempirei con tutti i tuoi sogni grandi e piccoli.



Parleremo una nostra lingua e racconteremo le nostre storie, e ci crederemo con tutte le nostre forze, perché in mancanza di un luogo privato come questo -dove quello in cui crediamo si realizzerà, anche solo per iscritto- la nostra vita non sarà tale; o peggio ancora, la nostra vita sarà solo un vita... Sei d'accordo?



Ma dentro di me esisti in un modo che mi atterrisce.



Per un po' forse continuerò ad urlare il tuo nome a me stesso, nel cuore. Ma alla fine la ferita si cicatrizzerà.



Ma a dire il vero ho parlato solo di te, cos'ho visto in te, e non sono capace di lasciarti andare senza che tu sappia cos'è successo a me in quei momenti.



Ma io ero ancora libero, cioè libero di sbagliare.



E la cosa incredibile è che ho visto come fuggivi senza muoverti dal tuo posto, sfruttando quella momentanea distrazione per sparire.



Qualche tempo fa hai scritto che, se qualcuno rifiuta di conoscere un tuo sentimento particolarmente intenso, ti senti come se quella persona ti stritolasse, ti uccidesse.



Niente fantasie, niente sogni. E se qualche volta ti sei lasciata andare, è stato solo per mezzo d'opere d'arte, pittura, canto, musica naturalmente. Ma sempre giungeva la 'realtà' a sollecitarti. Come si fa con uno schiavo che cerca di fuggire. Allora cosa ti è rimasto? Dove hai vissuto?



Che sollievo. Il sollievo dell'armatura che scopre dentro di sé un cavaliere ancora vivo.



Ogni tua parola è caduta esattamente dove era attesa da anni.

In fondo non mi sorprende. A volte penso che forse, all'inizio, è stata la tua ferita ad attrarmi.



Sai, a volte, mentre ti scrivo, provo una strana sensazione, totalmente fisica, come se prima di poterti parlare fossi costretto a vedere le parole che mi abbandonano in una lunga fila per giungere fino a te, per consegnarsi nelle tue mani.



È il segreto che ti sussurro all'orecchio già da un mese: noi due non siamo vivi! Voglio dire, non in un luogo in cui vigono le leggi ordinarie che regolano i rapporti tra le persone, tantomeno tra uomo e donna. Dove siamo, allora? Non m'interessa saper dove, perché dargli un nome? 


Sarebbero comunque nomi "loro", nomi tradotti, e con te voglio una costituzione diversa di cui saremo noi a fissare le leggi.



Perché a volte, nei momenti più impensati, per strada, puoi sentire l'anima lacerarsi, catturata dalla storia di qualcuno che ti è appena passato accanto.



I tuoi occhi, grandi, scuri e belli, per un istante si sono aggrappati ai miei e insieme ci siamo raddrizzati e rialzati, grazie quasi alla sola forza dello sguardo.



E cosa c'entriamo noi con la realtà? Che spazio sarebbe disposta a lasciarci?



Volesse il cielo che due estranei vincessero l'estraneità.



Hai descritto te stessa per eliminare qualsiasi dubbio, ti sei riassunta in una sola frase, oltretutto tra parentesi. 



Se è davvero così, se ti senti tra parentesi, permettimi allora di infilarmici dentro, e che tutto 
il mondo rimanga fuori, che sia solo l'esponente al di fuori della parentesi e ci moltiplichi al suo interno.


Quando sono con altra gente (mi è venuto in mente stasera, mentre facevo il bagno a mio figlio) – non importa se estranei o molto vicini – c'è un pensiero che non mi abbandona: sanno tutti fare con naturalezza ciò di cui io mi sento assolutamente incapace: mettere radici.



È stupido cercare di spiegare (e tuttavia non riesco a smettere), ma è sempre così per me. In qualche punto, molto vicino, si accumula qualcosa – o qualcuno – che implora di esplodere, soffocherà non trovando uno sfogo e, anche se non mi è assolutamente chiaro cosa – o chi – sia, capisco perfettamente il suo bisogno di erompere, sento chiaramente il suo grido soffocato.



Come se tu mi avessi teso una mano, facendomi superare il confine oltre il quale si trova la luce.


E com'è possibile che chi ha osato esprimere un desiderio così grande alla vita provi anche tanta paura nei suoi confronti?



venerdì 29 giugno 2012

Il cavaliere dalle scarpe rotte


Una persona può mancarti in tanti modi diversi. Ti può mancare con la mente, con il cuore, con l'anima... tu mi manchi a livello epidermico. Mi manca il fatto che toccandoti so che questa è la tua pelle.

Soffoco questi pensieri mentre cerco di restare calmo e rilassato. Ci sono giorni in cui il sorriso si piazza sul tuo volto per prendersi gioco della mia anima.

Con l’arroganza del guerriero cerco di portarti in salvo dalle tue paure.

La Torre Eiffel tinta di mille colori mi umilia con la sua bellezza. E’ li, arrugginisce. Ci insegna che si può creare qualcosa di stupendo dal più umile dei materiali. Non si sposta, non si ritira, non si vergogna della sua nudità di ferro.
La sua più grande lezione è che non si deve mai chiedere scusa per ciò che si è.

La principessa trema. Teme per le sorti di un cavaliere dalle scarpe rotte.

Mi irrigidisco. Respiro paura e ossigeno. Potrei morire anche adesso. Guardo la Torre, so cosa fare. Non mi sposto, non mi ritiro. Un cavaliere non si vergogna mai della propria armatura.

<<E se questo drago fosse troppo forte?>>
<<Ho sempre desiderato un’animale domestico>>
<<Sciocco, perché non mi cacci via?>>
<<Sono sempre stato solo, nelle tue paure ho riconosciuto un individuo della mia stessa specie.>>


domenica 17 giugno 2012

Start

Start. Il mio nome è una lama, sottile e affilata. Solo una parola. Parola che racconta una storia che non si vede. Dice una cosa. No. E' un'altra. Tutte scommesse che non si possono vincere. Sono silenzioso mentre grido. Sono buono nella mia cattiveria, sono cattivo nella mia bontà. Cosa? Solo essenza, nulla più. Sto riflettendo troppo. Libera. Libero. Liberi. Il mio nome ferisce, taglia, corrompe. Un miasma di vocali e consonanti. Non lo pronunciare, arriverò. Sono arrivato. Eccomi. Che brutto... cos'è questo sorriso? E questo tocco gentile? Stai forse provando ad aiutarmi? Aiutami. Aiutati. E poi uccidi. Fai qualcosa, ma uccidi. Un taglio alla gola, un taglio alle labbra. Sangue ovunque. Un dolore nel palato. Un solco nell'anima. Compromessi.
Tutto è nulla, nulla è tutto. Una storia che si ricorda per sempre, un giorno che si dimentica subito. Tutto scivola nei paradossi del mio nome e delle mie parole. Non capisco come sia possibile. E' solo un momento, o un lungo stillicidio,  non abbiamo ancora dati da poter analizzare. Vivo esattamente come un elaboratore. Il mio flusso è solo una continua analisi, non c'è nulla di emotivo.
Stop.
Go. Sento la notte. Mi dice che è morta. La parola morte è sulle mie labbra. Si muove sulla mia lingua, sibilando nel bel mezzo nulla, vicino ad occhi curiosi. Ridono. Ma tu non eri un tipo gentile? Lo ero. Poi sono morto anche io. Ho detto il mio nome troppe volte, scusate. E' che mi chiamo proprio così, non ci posso fare nulla. All'anagrafe gli stronzi li chiamano come me, esiste un protocollo apposito, sul serio.
Non che io sia sbagliato, la perfezione si manifesta in ogni mio errore. Questo perché lo dico io, e lo dico io perché io porto il mio nome. Davvero, mi chiamo come me, anche se non si direbbe. Fuori sta uscendo il sole, il signore colombo, un pennuto, fa tu-tu tu-tu. Chissà cosa pensa. Sarà un buon giorno per lui? Mi perdo nei libri, mi piace. Per un attimo mi sono perso in un romanzo di Dostoevkij. Ero uno dei suoi tanti personaggi. Ma lui mi dava un nome insulso, perciò mi sono ritrovato qui, in  una notte che è diventata mattina, nello stesso istante in cui un attimo è diventato scrittura.
Come mi chiamo ora?


sabato 9 giugno 2012

Cecità


Nel cassetto della scrivania sono accatastate le lettere che ti scrivevo quando ti guardavo dormire. Non ti scrivo da tanto, non ci riesco. Per questo ho preso questo simpatico registratore, e sto facendo gracchiare la mia voce nell’altoparlante. Me ne sto qui, da sola, a fissarti. Ti sento russare, tu non lo sai, ma sei davvero dolce mentre dormi. Vista dall’esterno sembro proprio una dodicenne che si incanta guardando l’amore della sua vita. Qui, invece, nel mio mondo interno, in questo condominio d’organi difettoso, c’è il buio più totale. So di essere qui, a pochi passi da te, eppure nel buio in cui i miei occhi mi hanno confinato potrei essere davvero ovunque.
Te lo ricordi quel giorno? Era il 15 settembre del 2009. Il giorno in cui i miei occhi hanno detto addio ai tuoi.
La mia personale giornata mondiale della cecità. Il D. Day dello sbarco nel mondo dell’oscurità.
Ho paura Steve. Sono passati tre anni ed ho ancora paura. Sono proprio una bambina, come dici tu. Vent’anni suonati ed ho ancora paura del buio, di questo buio.
Non ricordo bene com’è iniziata. Le persone sentono puzza di merda, solo quando ne sono sommersi. 
Suonerà infantile, ma mi sono resa conto di essere cieca, nello stesso momento in cui lo sono diventata. La realtà è che evitavo il problema. I miei occhi non facevano altro che avvertirmi.
Tutto iniziò con i colori. Di tanto in tanto ero un po’ daltonica. Nulla di preoccupante mi dicevo. Spesso era anche divertente. Ricordo il giorno in cui mi prendesti in giro perché scambiai i tuoi occhi marroni per azzurri. Ti promisi che non avrei più perso di vista le mie piccole noci, come li chiamavo sempre prima. Ti devo delle scuse. Ho dovuto dire addio ai tuoi occhi senza rendermene conto. 
E’ successo tutto così, senza una causa apparente. Sono scomparsi prima i colori, un po’ alla volta. Poi quella tragica mattina tutto è iniziato a sbiadire, lentamente e inesorabilmente. I medici mi hanno dato mille pareri diversi, mille spiegazioni ma nessuno di loro è stato in grado di ridarmi ciò che è il destino si era preso. Il destino mi ha negato la possibilità di vedere i tuoi occhi. 
Sai, tutti sappiamo che certe cose accadano, però non pensiamo mai che quella tristezza venga a bussare proprio alla nostra porta. Sono stata così stupida e infantile. Per anni ho guardato il mondo con l’arroganza di chi pensa che tutto durerà per sempre. La verità è che prima o poi tutto svanisce, nel mio caso tutto è svanito letteralmente. Mi manca così tanto il mondo. Mi mancano i paesaggi ricchi di colori. Mi mancano i girasoli. Mi mancano le gocce d’umidità. Mi manca persino la nebbia. Mi mancano i tuoi occhi. La verità è che ho passato una vita a guardare cose incredibilmente belle e non ho mai detto grazie.
Perché i miei occhi non possono incrociarsi di nuovo con i tuoi? Un semplice sguardo, intenso, assoluto. Mi basta un impercettibile istante di te. Non te l’ho mai detto ma per mesi ho lottato con terapie, operazioni, convegni e associazioni umanitarie perché avevo bisogno di cancellare l’ultima immagine vista, che continua a tormentarmi.
Quel giorno tremavo. Più tremavo, più mi stringevi. Sentivo che la vista si stava restringendo sempre di più. Il mondo che i miei occhi erano ancora capace di vedere diventava sempre più piccolo. E tu eri lì, centimetro dopo centimetro. Sai, stretta in quell’abbraccio, quando per me il mondo era un piccolo spazio ti ho visto piangere. Il tuo sguardo triste è stata l’ultima cosa che ho visto, poi il buio più totale. Ed io vorrei solo rivedere un sorriso su quegl’occhi bagnati dalle lacrime.
Era il 15 settembre 2009. Il giorno in cui i miei occhi hanno conosciuto le tue labbra. Mi hai stretto forte a te. Hai cercato di costruire un guscio intorno al mio condominio ferito. E mi hai baciato, proprio qui, sulle palpebre. Quel giorno il più dolce dei baci si è posato sulla più dolorosa delle bue.
E ora svegliati, la tua bimba cieca ha proprio bisogno di un abbraccio.

domenica 27 maggio 2012

Senza titolo

Sono stanco di ridere. E' tutta la vita che sorrido. Non guardarmi così, non sono pazzo. Insegnami ad essere triste, insegnami a soffrire. Ho bisogno di un amore che non sia solo un momento romantico, un tocco gentile dopo una giornata passata a lavorare. Amore è anche guardarsi allo specchio e guardare tutte quelle cicatrici che il tempo ti lascia. Guardami! Mi hai visto? Sono praticamente nuovo, senza graffi. Vieni qui e feriscimi. Distruggimi. Portami via la felicità. E solo allora, verrò da te a mendicarla. Saprò di poter accogliere dentro di me le tue sofferenze, perché le avrò provate anche io. Solo allora verrò da te e tu mi bacerai. No, non sulla bocca, ma su una cicatrice. Perché ad essere felici siamo tutti bravi. Io voglio essere triste, voglio assaggiare la sofferenza, farla mia complice, mia amante, mia compagna di vita, per sempre. E mi guardi ancora come se fossi pazzo. Però sbrigati, che a forza di sorridere sto diventando inespressivo. Colpiscimi, scoprimi. Distruggimi, una volta, due volte, cento volte e io verrò da te. E tu mi ricomporrai.


Epidermico

Sai, una persona può mancarti in tanti modi diversi. Ti può mancare con la mente, con il cuore, con l'anima... tu mi manchi a livello epidermico. Mi manca il fatto che toccandoti so che questa è la tua pelle.

















domenica 13 maggio 2012

In attesa



Ti ritrovi in questa sala d'aspetto. Con te ci sono degli estranei. Nessuno ti rivolge la parola, nessuno ti considera realmente. Tutti si godono la reciproca estraneità.
E' un posto asettico. Senza vita. Le pareti sono grigie, i mobili bianchi e neri, tutto tono su tono. Nessun colore, nessun segno distintivo. Ti ritrovi in questa sala d'aspetto, nella mancanza di interesse più totale. Solo con delle persone che non conosci. Insieme a te stesso che conosci troppo bene.
Tic-Tac Tic-Tac Tic-Tac Tic-Tac. Un orologio scandisce monotonamente e inesorabilmente il tempo. Sei lì e aspetti. Attendi qualcosa. Attendi il possibile o l'improbabile, non lo sai.
Ti chiedi perché sei in questo posto. Perché qualcosa si è bloccato e tu sei costretto ad aspettare lì.
Qualcuno in fondo alla sola tossisce. Dopo qualche secondo qualcun'altro tossisce a sua volta. Se per solidarietà o per emulazione, questo non lo sai. E intanto il tempo passa. Inesorabile. Tic-Tac Tic-Tac Tic-Tac. Come una lenta ninna nanna ti abbatte, stancandoti. Eppure, aspetti, aspetti ancora.
Il tizio seduto accanto a te ti rivolge la parola. Dice: <<Visto il tempo?>>. Ti infastidisce.
Sei in attesa e devi sorbirti le sue domande chiuse. Domande a cui non segue una vera interazione sociale. Solo uno scambio d'informazioni, niente di più. Nulla che preveda una personalità. Solo il tempo. Solo l'ora. Solo un'altra cosa noiosa.
Rispondi: <<Sì>>. Segue silenzio, segue altra noia ed estraneità profusa. Come un gas s'espande nella sala, inesorabile proprio come il tempo. Tic-Tac Tic-Tac Sgas-sgas di nonconoscenza Tic-Tac Sgas-Sgas. Ti ritrovi in questa sala d'aspetto, e ne hai proprio le palle piene.
Ti domanda: <<Che numero ha lei?>>. Ti sconvolge e ti infastidisce. Rispondi: <<Che numero?>> Seguono risate. Segue noia e rabbia. Ti guarda e dice: <<E' simpatico sa?>>
Segue momento d'imbarazzo, a cui segue altro momento di noia. Ti infastidisce, ancora.
Prendi coraggio e dici: <<Io non ho un cazzo di numero!>> Ti guarda. Segue pausa. Ti guarda come dio guarderebbe un essere umano, come un uomo guarda una bella donna. Senza motivo, dice: <<Io ho il 53>>.
Un gran bel numero, non c'è che dire. Davvero. Pensi queste cose, in maniera sarcastica. Ti ritrovi in questa sala d'aspetto - purtroppo. Dici: <<Mi presta una penna?>> Segue gesto gentile e caritatevole.
Tic-Tac Tic-Tac. Non hai un numero. Potresti uccidere lo sconosciuto che ti rivolge domande chiuse con quella stessa penna. La gente nella sala è così concentrata su stessa che l'omicidio passerebbe inosservato. Proprio come un miracolo per chi non crede. Proprio come un fenomeno statistico per chi non si occupa di numeri. Non proprio così, ma quasi.
Ci pensi. Sarebbe facile. Il 53 è proprio un bel numero, davvero. Ti avvicini. Fai scattare la penna, così senza motivo. In realtà pensi di aver appena caricato la tua arma. Tic-Tac Tic-Tac Tic-Tac. Sempre più vicino. Click-Click Click-Click. La penna scatta sempre più veloce. Sei lì, in questa sala d'aspetto. Nel silenzio più totale dell'estraneità più desolante. Puoi uccidere, puoi rubare, puoi passare avanti col numero. Tu puoi.
Ce l'hai a portata di mano. Eccoti, in un gesto veloce, assurdo, poetico.
Segue momento di pausa.
Segue momento di ansia.
Dici: <<Grazie>>
Segue sorriso.
Gli ridai la penna. Non ti serve a nulla, non sai nemmeno perché l'hai chiesta.
Segue che te ne alzi e te ne vai.
Basta aspettare. Bisogna uscire, andare fuori, qualunque cosa sia quel fuori.

Briglia sciolta

Immagini mai le cose che succederanno? Sì, spesso ci perdiamo nei sogni, fantastichiamo su quello che potrebbe succederci. Il guaio è che poi non succede, ma non è questo il problema.
A volte, il più delle volte, la mente è un cavallo impazzito che viaggia senza controllo, senza freni, a briglia sciolta. E questo se sia un bene, o un male, ancora devo capirlo. Accade però di pensare agli scenari più tristi, più cattivi. Stiamo cercando di esorcizzare il male che c'attende? Siamo masochisti?
Eppure quelle immagini sono lì, a ricordarci come tutto può andare nella maniera peggiore possibile. Sono lì a darci la prova che l'infelicità è sempre pronta a far capolino. Forse prima di abbracciarlo il dolore preferiamo conoscerlo...




lunedì 30 aprile 2012

Lettera ad una sconosciuta - Numero 2




Ciao Straniera.
La vita è strana, enormemente strana. Semmai dovessimo incontrarci, ti prego di fare attenzione: sono un genio part-time ed un’idiota a tempo pieno. Mi chiedo se valga la pena sforzarsi tanto, per poi cadere sui tipici, banalissimi, stereotipati difetti che tutti ci portiamo dietro.
Ti dico queste parole per un motivo. La nostra storia, quella storia che non esiste, potrebbe un giorno volgere al termine. Non è colpa di nessuno, ma può accadere. Non sono un disfattista, uno che ha paura o altro, è solo che mi rendo conto che la vita, oltre che strana, è enormemente difficile. Bisogna mettere in conto una cosa: ancora non ci dobbiamo incontrare e già stiamo parlando di addii. Ok, forse sono solo io quello strano. Perdona le parole di uomo che cerca solo di sognare.
E allora che senso ha dirselo ora, come nulla fosse? Ha senso nella stessa misura in cui tu esisti, ha senso semplicemente perché ce l’ha. E’ un diritto atavico delle mie assurde parole. Ti dico addio perché voglio che, qualora arrivasse quel momento, non ci siano parole non dette, considerazioni non fatte oppure, nella maniera più infantile possibile, non voglio dirti addio come se nulla fosse.
A te, e solo a te, arriva il mio saluto ultimo, il mio canto del cigno. A te, e solo a te, lascio le mie lacrime più amare. A te, e solo a te, porgo in dono tutto ciò che è stato, tutti i sorrisi, tutte le parole e persino tutti i momenti più tristi. Ti dico Addio esattamente come ti dirò Ciao un giorno. Te lo dico con lo stesso sorriso di chi sa che, da quel momento in poi, nulla sarà esattamente uguale. L’epilogo, l’inizio, il saluto, l’addio, l’abbraccio, qualsiasi di questi momenti resterà nostro, resterà nostro per sempre. E quasi dimenticavo sconosciuta: Grazie, grazie per essere la persona che sarai, chiunque tu sia, chiunque sarò io. L'esistenza, la forma e l'essere, con te, sono solo dettagli.
Fino ad allora eccomi qui, con un sorriso educato a attendere, con una dolce e ultima speranza ad attenderti.

sabato 28 aprile 2012

Una vita di citazioni Vol.2



Probabilmente uno degli autori più inflazionati sul tema citazioni è Oscar Wilde. Il Ritratto di Dorian Grey, così come altre opere "minori" vestono bacheche, forum, firme e quant'altro ci sia da scrivibile e strumentalizzabile a questo mondo. Seguendo sempre la corrente di pensiero, citare è bello, citare ci piace, godiamoci le perle di saggezza del buon oscar.

Il Ritratto di Dorian Grey - Oscar Wilde



Il fuoco indurisce tutto ciò che non distrugge.

Adoro gli scandali che riguardano gli altri, ma quelli che riguardano me non m'interessano. Non hanno il fascino della novità.

Amo troppo leggerli [i libri], per aver voglia di scriverli. Certo mi piacerebbe scrivere un romanzo – bello come un tappeto persiano e altrettanto irreale. Ma da noi si leggono solo giornali, abbecedari ed enciclopedie. Di tutti i popoli del mondo, gli inglesi sono quelli che hanno meno il senso di bellezza in letteratura.

C'è al mondo una sola cosa peggiore del far parlare di sé: il non far parlare di sé.

C'è voluttà nell'accusarci: quando ci accusiamo sentiamo che nessuno può biasimarci.

Definire è limitare.

È la confessione che assolve, non il prete.

È meglio non essere diversi dai propri simili.

È sempre facile esser gentili verso le persone di cui non ci importa nulla.

I presagi non esistono: il destino è troppo saggio e troppo crudele per mandarci degli araldi.

Il brutto e lo sciocco se la passano meglio degli altri in questo mondo: possono rimanere seduti a loro agio e seguire la commedia a bocca aperta. Se nulla sapranno della vittoria, è loro risparmiata almeno l'esperienza della sconfitta.

Il terrore che ci incute la società è la base di ogni morale

Il valore di un'idea è assolutamente indipendente dalla sincerità dell'uomo che la denuncia.

L'artista non ha convinzioni etiche. Una convinzione etica in un artista è un imperdonabile manierismo di stile.

L'artista è un creatore di cose bellissime.

L'esperienza non aveva alcun valore etico, era semplicemente il nome che gli uomini davano ai loro errori. Di regola, i moralisti l'avevano ritenuta un avvertimento, avevano sostenuto che essa aveva una certa efficacia nella formazione del carattere, l'avevano esaltata come qualcosa che ci insegnava la via da seguire e ci mostrava quella da evitare. Ma nell'esperienza non c'è forza motrice. Come causa attiva aveva lo stesso infimo valore della coscienza. In realtà dimostrava solo che il nostro futuro sarà uguale al nostro passato e che il peccato che abbiamo commesso una volta, con disgusto, lo ripeteremo molte volte con gioia.

L'essere naturale è semplicemente una posa, la posa più irritante che conosca.

L'intelletto è, per se stesso, una sorta di eccedenza che distrugge l'armonia di un volto.

L'uomo è molte cose, ma non è ragionevole.

L'unico fascino del passato è che è passato.

La bellezza è superiore al genio in quanto non ha bisogno di spiegazioni.

La buona influenza non esiste... qualunque influenza è immorale perché influenzare qualcuno significa dargli la propria anima.

La giovinezza è l'unica cosa che valga la pena possedere.

La limitazione è una sofferenza, l'abbastanza è una consolazione, il più che abbastanza è un delizioso banchetto.

La morte è l'unica cosa che riesce a spaventarmi. La detesto perché oggi si può sopravvivere a tutto tranne che a lei. La morte e la volgarità sono le uniche due realtà che il diciannovesimo secolo non è riuscito a spiegare.

La puntualità è ladra del tempo.

La sola differenza fra un capriccio e la passione eterna è che il capriccio dura un po' più a lungo.

La vita morale dell'uomo è uno dei soggetti che l'artista può trattare, ma la moralità dell'arte consiste nell'uso perfetto di uno strumento imperfetto.

La vita è troppo breve perché ci si possa caricare sulle spalle anche il fardello degli errori altrui. Ciascuno vive la propria vita e ne paga il prezzo.

Le cose sacre sono le uniche cose che valga la pena profanare.

Le donne non hanno niente da dire, ma lo dicono benissimo.

Mi piacciono gli uomini che hanno un futuro e le donne che hanno un passato.

Noi getteremmo via una quantità di cose se non avessimo paura che qualcun altro possa raccattarle.

L'intelletto è per sua natura una forma di esagerazione e distrugge l'armonia di qualsiasi volto. Appena uno si mette a pensare, diventa tutto naso o tutta fronte, o qualche cosa di orribile. Guarda gli uomini che hanno avuto successo in una qualsiasi delle professioni dotte. Non fanno perfettamente schifo? Eccetto che nella Chiesa, naturalmente; ma nella Chiesa non pensano. A ottant'anni un vescovo continua a dire quello che gli hanno insegnato a dire quando ne aveva diciotto, e naturalmente ne deriva che mantiene un aspetto assolutamente delizioso.

Come la luce del sole, o la primavera, o il riflesso in acque scure di quella conchiglia d'argento che chiamiamo luna.


Lo scetticismo è l'inizio della fede

venerdì 27 aprile 2012

Lettera ad una sconosciuta - Numero 1

Ciao.
Ti scrivo per essere sicuro che tu sappia. Sai com'è, qualora non dovessimo incontrarci, qualora non dovessimo conoscerci, preferisco giocare d'anticipo e dirti tutto. Prima di giungere a conclusioni ovvie, sappi che non ti sto cercando, non sto reclamando qualcosa. E' solo che... tu esisti, e dato che esisti, io ti scrivo. Le cose sono una l'esatta conseguenza dell'altra, puoi leggerle anche in senso inverso e il risultato non cambierebbe. Ti scrivo anche se non c'incontreremo mai, anche se per tutta la vita andremo avanti senza mai incrociare i nostri sguardi. Questa è la storia della nostra vita. E' tutta qui, in queste parole inconcludenti e pensieri senza senso.
Io potrei essere mille uomini diversi e tu altrettante donne. Siamo la folla. Siamo tutti. Siamo una massa di persone che vive e non si conosce, che passeggia tranquilla, fermandosi solo un attimo per sentire il sole caldo sulla pelle. Un giorno uno solo di questi mille uomini sarò io, e una sola di queste mille donne sarai tu, e allora tutto quello  vissuto fino a questo momento cambierà. Se per destino, per volere divino o per un'assurda legge di probabilità, non ci è dato saperlo. Però, io sarò quell'uomo, quello che ti guarderà sorridendo senza motivo. E tu sarai quella donna, forse un po' imbarazzata, che cerca di fuggire dal mio sguardo. 
Non ti conosco, ma ti faccio una promessa, una promessa che cercherò di mantenere: io sarò quell'uomo. Io sarò lì, ovunque sia il nostro "", e chissà che quel giorno non abbia con me un pacco di lettere indirizzate ad una sconosciuta.
Onde evitare equivoci lo chiedo in misura preventiva. Sarà il nostro accordo pre-presentazione, così giusto per farti quanta è seria la mia follia.
Amami Amami Amami Amami Amami Amami Amami Amami Amami Amami Amami Amami Amami Amami Amami Amami Amami Amami Amami Amami Amami Amami Amami Amami Amami Amami Amami  Amami Amami Amami Amami Amami Amami Amami Amami Amami Amami Amami Amami Amami  Amami Amami Amami Amami Amami Amami Amati Amami Amami Amami Amami Amami Amami Amami Amami Amami  Amami Amami Amami Amami Amami Amami Amami Amami Amami.

Per ora ciao sconosciuta, ci incontriamo nel futuro.


giovedì 26 aprile 2012

Maratonpolitana




Te ne stai li tranquillo, cammini, mentre te ne vai dove ti pare.
Noti che le persone intorno a te iniziano a correre, alcune nella stessa direzione, altre in ordine sparso. Ti chiedi cosa stia succedendo, cosa sia stato a scatenare questo panico generale. Ti guardi intorno e noti che anche il più calmo dei presenti avanza il passo, noti che a diversi livelli agonistici stanno tutti correndo verso qualcosa.
Per una ragione non meglio definita anche tu affretti il tuo passo, l'ansia generale ti colpisce e cambia il tuo stato d'animo. Sindrome da ritardo ossessivo convulsiva? Possibile che tutti i presenti all'uscita della metro abbiano un appuntamento importante? Possibile che ci sia una specie di grande evento da qualche parte e tu ne sia completamente all'oscuro?
Ogni attimo che passa se siamo sempre più in ritardo o sempre più vicini al traguardo, questo ancora non lo so. Gli esperti dicono che questo dipende dalla quantità d'acqua in un bicchiere, che se riempito a metà classifica le persone in perdenti e vincenti, in ottimisti e pessimisti, oppure no, non c’entra nulla.
Il problema è che se stai pensando a quel bicchiere sei nei guai, non c'è tempo. Il mondo sta correndo in qualche direzione e tu rimani lì immobile come un pesce lesso. Ti stai ancora chiedendo perché tutti vadano di fretta? Perché a chiunque chiedi l’ora la risposta è sempre la stessa: sono le ritardo meno dieci.
La risposta non c'è, ma se ti fermi posso spiegarti. Il problema è che l'ansia porta ansia e la fretta porta fretta, ci sarà stato un tizio in ritardo e avrà iniziato a correre. Qualcuno quasi in ritardo avrà fatto la stessa cosa, mi segui? Ancora qualcun'altro preoccupato dalla situazione avrà aumentano l'incedere, scatenando così una sorta di reazione a catena, se si corre per empatia o competizione, questo ancora, una volta, non lo so.
Ora basta scrivere, si è fatto tardi.

The Butterfly... in effetti



Intanto, perché farfalla in inglese - tradotto letteralmente - significa burromosca, o mosca di burro se preferiamo. Sul serio, è questa la lingua più parlata al mondo? E comunque no, non è assolutamente questo il punto.
Ci sono le farfalle allo stomaco, le farfalle al pesto c'è - per restare più attuali - la farfalla di Belen, ce ne sono tante, forse troppe, o anche poche, sono pessimo nel quantificare queste cose.
Quello che mi preme è: diventare farfalle! Sì, esattamente, guardarsi allo specchio e sentirsi un po' bruchi ed aspettare, rinchiusi in un metaforico bozzolo, di diventare delle splendide, armoniose, luccicanti farfalle. C'è qualcosa di tremendamente romantico e speranzoso in questa metafora, ma anche qualcosa di tremendamente sbagliato. Qual è il messaggio nel messaggio? Il significato nel significato?
Lo confesso, io tifo per i bruchi. Quegli sporchi, verdosi e viscidi bruchi. Proprio loro. I bruchi: le persone imperfette, le persone da cambiare, le persone da evitare. E' questo il messaggio. Se la vita ti chiede di diventare farfalla, significa che tu, per quello che sei e rappresenti, non vai bene. Il mondo ci vuole farfalle, vuole che giungiamo al nostro massimo per un processo di trasformazione non di maturazione. Insomma, sto benedetto bruco potrebbe semplicemente diventare più forte, più scattante e più saggio - anche se nemmeno questo è necessario. Il bruco è bruco, e va maledattemente bene.
E' così che ci arrendiamo, finiamo per odiare la nostra bruchezza. No, non va affatto bene. Più che bruchi e farfalle, preferisco la metafora del carbone e del diamante. Tutti abbiamo il nostro potenziale, espresso o inespresso, e questo ci rende quello che siamo, dal primo vagito all'ultimo - forse - sorriso sul letto di morte. Trasformarci non va bene. Dobbiamo essere liberi di essere quello che siamo. Se proprio avvertiamo il bisogno di lavorare quella pietra grezza, raffiniamola, mettiamoci a lucido, risplendiamo. La luce è già qui, il diamante - o il bruco - ci appartiene. E se per caso incontrate una farfalla, non piangete per lei, un giorno sentirà la mancanza del raccapricciante bozzolo da cui è uscita.


martedì 24 aprile 2012

Un tormento chiamato speranza




Proprio nel momento in cui tutto sembra perduto, quando le forze ti abbandonano e non c’è modo di reagire, in quell'esatto momento l’unica cosa che possiamo fare è affidarci alla speranza. Una sottile e flebile luce, nascosta qui, nella nostra anima, l’ultimo appiglio che ci separa dal decadimento. Forte, magica, assoluta. 

Eppure… c’è qualcosa che non quadra. Non sempre è così, non sempre possiamo salvarci.
Talvolta è la speranza a ucciderci. S’insinua in noi, scivolando sotto pelle, radicandosi nei nostri pensieri. Come un cancro si espande silenziosamente, e nemmeno ci rendiamo conto di ciò che accade. Eppure è lì, prende possesso delle nostre azioni, annebbiando il nostro giudizio, prendendosi gioco del nostro cuore. La speranza è capace di ferire così come la resa e forse in maniera ancor più brutale. Quando un’idea si prende possesso di noi, come facciamo a cacciarla via? Un po’ come una canzone che ti entra in testa e non se ne va più. Rimandata in loop, incessantemente. Se quest’idea rappresentasse per noi la fine? Ci sono idee che ci tormentano, ci rendono schiavi. Idee che sopravvivano grazie alla speranza, a quella incapacità di abbandonarsi. Ed è così che ci tormentiamo l’anima, è così che la ricerca della salvezza, diventa poco a poco il dramma della nostra vita. Perché se sperare è l’ultima cosa abbiamo, questa stessa speranza poco alla volta ci uccide. Ci distrugge. Siamo lì, appesi con le nostre ultime forze, con le stesse forze che ci da la speranza, immersi in questo limbo di tristezza e di attesa. Immobili, incoscienti, inutili.

Proprio nel momento in cui tutto è già perduto, quando le forze ci hanno già abbandonato, in quell’esatto momento, l’unica cosa che dobbiamo fare è uccidere la speranza. Perché saltare verso il baratro è meno doloroso di restarci appeso a vita. Perché a volte lasciarsi andare, compiere quel salto verso il vuoto, è tutto ciò che ci resta. Se lasciamo che la speranza sia l’ultima a morire, molto probabilmente sarà proprio lei a seppellirci. 

lunedì 23 aprile 2012

Una vita di citazioni Vol.1



Ok, lo so, inutile ribadirlo. E' quanto mai universalmente riconosciuto che tutti - chi più, chi meno - dovremmo sempre e comunque avere idee proprie. Allo stesso modo, senza troppi strascichi filosofeggianti, è altrettanto vero che molti grandi scrittori/pensatori o in generale uomini, hanno saputo trovare parole splendide, per descrivere, raccontare una determinata cosa. Le nostre idee collidono e, quindi, ci lanciamo nel citazionismo più assoluto, incollando frasi e pensieri a go go, come in una sorta di stilosissimo flusso di coscienza (o di incoscienza) planetario.
Seguendo la corrente, citare è bello, s'inizia col mio autore preferito: Chuck Palahniuk.
Il materiale prodotto del nichilista e poliedrico autore è parecchio, per tanto sento il bisogno di proporre il meglio del meglio del meglio, di quello che piace a me.



Soffocare - Chuck Palahniuk

Una cosa è certa: il peggiore dei pompini sarà sempre meglio, per dire, della più profumata delle rose, del più fantastico dei tramonti. Delle risate dei bambini. Io non credo che leggerò mai una poesia bella quanto uno di quegli orgasmi che ti mandano a fuoco, ti fanno venire i crampi al culo, ti inondano le budella [...] Dipingere un quadro, comporre un'opera, sono tutte cose che fai per riempire il tempo tra una scopata e l'altra. 

L'arte non nasce mai dalla felicità

Immaginati una persona che cresce tanto stupida da non sapere che la speranza non è che una delle tante fasi che prima o poi si superano. Che davvero ha pensato fosse possibile fare qualcosa, una cosa qualsiasi, che durasse per sempre.

Ogni cosa che possiedi» dice «è solo l'ennesima cosa che un giorno perderai

La gente è pronta a fare i salti mortali se solo la fate sentire onnipotente.

L'amore è una stronzata. Le emozioni sono una stronzata. Io ho un cuore di pietra. Sono uno stronzo. Sono un pezzo di merda egoista, e ne vado fiero.

Finché non trovi qualcosa per cui lottare ti accontenti di qualcosa contro cui lottare.

L'ennesima cosa incompleta in una vita fatta di incompletezze.

Possiamo passare la vita a farci dire dal mondo cosa siamo. Sani di mente o pazzi. Stinchi di santo o sessodipendenti. Eroi o vittime. A lasciare che la storia ci spieghi se siamo buoni o cattivi.
A lasciare che sia il passato a decidere per il nostro futuro.
Oppure possiamo scegliere da noi.
E forse inventare qualcosa di meglio è proprio il nostro compito.

L'irreale è più potente del reale. Perché la realtà non arriva mai al grado di perfezione cui può spingersi l'immaginazione. Perché soltanto ciò che è intangibile, le idee, i concetti, le convinzioni, le fantasie, dura. Le pietre si sgretolano. Il legno marcisce. La gente, be'... la gente muore. Ma le cose fragili, come un pensiero, un sogno, una leggenda, durano in etern
o.

Invisible Monster - Chuck Palahniuk

Quand'è che il futuro è passato da essere una promessa a essere una minaccia?

Saremo ricordati più per quello che distruggiamo che per quello che creiamo.
Quando non sappiamo chi odiare, odiamo noi stessi.

Niente di me è originale. Sono il risultato dello sforzo di tutti quelli che ho conosciuto.

È perché siamo intrappolati nella nostra cultura, nel fatto che siamo esseri umani su questo pianeta con i cervelli che abbiamo, e due braccia e due gambe come tutti. Siamo così intrappolati che qualsiasi via d'uscita riusciamo a immaginare è solo un'altra parte della trappola. Qualsiasi cosa vogliamo, siamo ammaestrati a volerla.

La tua nascita è un errore a cui cercherai di riparare per tutta la vita.

Passi tutta la tua vita a diventare Dio e poi muori.

Non importa con quanto scrupolo seguirai le indicazioni: avrai sempre l'impressione di aver perso qualcosa, la sensazione sprofondata sotto la tua pelle di non aver vissuto tutto. C'è quel sentimento di caduta nel cuore, per essere andato troppo in fretta nei momenti in cui avresti dovuto fare attenzione. Be', abituati a quella sensazione. È così che un giorno sentirai tutta la tua vita. È solo questione di abitudine. Niente di tutto ciò ha importanza. Ci stiamo solo scaldando.

L'assassino, la vittima, il testimone, ciascuno di noi pensa che il proprio ruolo sia quello del protagonista



Ninna Nanna - Chuck Palahniuk
Questa è la sua storia. Di come mi possiede. Di come una canzone ti entra in testa e non se ne va più. Di come uno pensa che dovrebbe essere la vita. Di come le cose catturano la tua attenzione. Di come il passato ti insegue in ogni singolo giorno del tuo futuro.

La maggior parte delle risate preregistrate che si sentono in TV risalgono all'inizio degli anni Cinquanta. Oggi buona parte della gente che sentite ridere è morta.

Nella vita c'è di peggio che trovare tua moglie e tua figlia morti. Per esempio vedere il mondo che li uccide. Tua moglie che invecchia e si stanca di te. I tuoi figli che fanno la conoscenza di tutto ciò da cui hai cercato di proteggerli. Droghe, divorzio, conformismo, malattie. Tutti quei bei libri, la musica, la televisione. Gli svaghi. Uccidere una persona a cui vuoi bene non è la peggiore cosa che le si può fare. Il più delle volte preferiamo che sia il mondo a farlo. E intanto leggiamo il giornale.

Il vecchio George Orwell aveva capito tutto, ma al rovescio.
Il Grande Fratello non ci osserva. Il Grande Fratello canta e balla. Tira fuori conigli dal cappello. Il Grande Fratello si dà da fare per tenere viva la tua attenzione in ogni singolo istante di veglia. Fa in modo che tu possa sempre distrarti. Che sia completamente assorbito.
Fa in modo che la tua immaginazione avvizzisca. Finché non diventa utile quanto la tua appendice. Fa in modo di colmare la tua attenzione, sempre e comunque.
Questo significa lasciarsi imboccare, ed è peggio che lasciarsi spiare. Nessuno deve più preoccuparsi di sapere che cosa gli passa per la testa, visto che a riempirtela in continuazione ci pensa già il mondo. Se tutti quanti ci ritroviamo con l'immaginazione atrofizzata, nessuno costituirà mai una minaccia per il mondo.

Ognuno di noi possiede qualcuno, e al tempo stesso è posseduto da qualcun altro.

È sorprendente quanto la gente fa in fretta a chiudere la porta sul passato.


Fight Club - Chuck Palahniuk

Le cose che una volta possedevi, ora possiedono te

No dico io, tutto a posto. Puntami una pistola alla testa e pittura le pareti con le mie cervella. Strepitoso, dico io, davvero. 

Non è perché ti ficchi penne nel culo che diventi una gallina.

È solo dopo che hai perso tutto. che sei libero di fare qualunque cosa.

Per questo amo tanto i gruppi di sostegno, se la gente pensa che stai morendo, ti presta tutta la sua attenzione. Se questa può essere l'ultima volta che ti vedono, ti vedono davvero. Tutto il resto finisce fuori della finestra, il conto in rosso e le canzoni alla radio e i capelli in disordine. Hai la loro piena attenzione. La gente ti ascolta invece di aspettare il suo turno per parlare.

Se sei maschio e sei cristiano e vivi in America, tuo padre è il tuo modello di Dio" dice il meccanico "E se non hai mai conosciuto tuo padre, se tuo padre prende il largo e muore o non è mai a casa, che idea ti fai di Dio?"...
"La fine che fai" dice il meccanico "è passare la vita a cercare un padre e un Dio".
"Quello che devi considerare" dice, "è la possibilità che a Dio tu non sia simpatico. Potrebbe essere che Dio ti odi. Non è la cosa peggiore che ti può capitare.
"Il modo in cui la vedeva Tyler era che attirare l'attenzione di Dio per essere stati cattivi era meglio di non ottenere attenzione per niente. Forse perché l'odio di Dio era meglio della sua indifferenza.
Se tu potessi essere o il peggiore nemico di Dio o niente di niente, che cosa sceglieresti? Noi siamo i figli di mezzo di Dio, secondo Tyler Durden, senza un posto speciale nella storia e senza speciale attenzione. Se non otteniamo l'attenzione di Dio non abbiamo speranza di dannazione o di redenzione. Che cos è peggio l'inferno o niente? Solo se veniamo presi e puniti possiamo essere salvati. "Brucia il Louvre" dice il meccanico "e pulisciti il culo con la Gioconda. Almeno così Dio saprà come ci chiamiamo".
Più in basso cadi, più in alto volerai. Più lontano corri, più Dio ti vuole indietro

Dato un lasso di tempo abbastanza lungo, per tutti la percentuale di sopravvivenza precipita a zero

Noi non siamo speciali. Non siamo nemmeno merda o immondizia. Noi siamo. Noi siamo soltanto e quello che succede succede soltanto.

Noi siamo i figli di mezzo della storia, cresciuti dalla televisione a credere che un giorno saremo milionari e divi del cinema e rockstar, ma non andrà così. E stiamo or ora cominciando a capire questo fatto.




venerdì 20 aprile 2012

Il fu Randy Mellons

Sono Randy Mellons. E questo basta. Vivo di paradossi. Non sono una persona, ma il risultato di un’equazione sociale. Dello sforzo collettivo di tutti quelli che mi hanno incontrato. E no, veramente, non sono affatto una bella persona. Mento. Tanto, spesso, troppo. Dico bugie quando mi fa comodo, perché la verità non è un valore assoluto, non è un dogma da rispettare, ma è semplicemente uno dei tanti elementi che, all’interno di un qualunque rapporto, va dosato con un certo peso. Quel peso nel mio caso è estremamente variabile. Mento ma non inganno. Perché se non dire la verità è un gesto errato sì, ma che può nascere comunque da qualcosa di nobile l’inganno è semplicemente un modo per violare la fiducia di una persona. E sì, sono logorroico. Parlo tanto, tantissimo. Mi piace parlare, mi piace scrivere e comunicare. Questo però si scontra con il mio razzismo umano. Tendo ad allontanare chi non ha un certo valore, e schernire chi non ne ha nessuno. Odio gli idioti, gli allocchi e più in generale chi non sembra mostrare un segno minimo d’intelletto. E di questo non ne faccio mai una vergogna, è una caratteristica come tante. E, badate, ho detto caratteristica non difetto. Il che ci porta alla mia pignoleria. Sono pignolo, ho bisogno di precisione e il più delle volte la richiedo. La mancanza di precisione è mancanza d’interesse o di capacità, o di entrambe le cose. In ogni caso mi offre sempre uno spunto valido per colpire qualcuno, che sia una battuta di spirito, o una cattiveria senza motivo, questo poco importa. Sono superbo. La mia non è una superbia, come dire, dispotica. Non comando nessuno, ne lo voglio, e neppure mi sento direttamente migliore degl’altri. Tuttavia la coscienza che ho di me, l’amore che ho per me, mi porta a farmi sentire “speciale”, per tanto a parità di condizioni, o forse anche no, apprezzerò sempre di più la mia persona prima che altri. La sofferenza è il mio mestiere, il mio dramma, il mio romanzo. Davanti ad essa mi sciolgo. Non posso far a meno di intervenire. Aiutare è quasi patologico per me. Per fortuna anche qui, il razzismo mi da una mano, sono pronto ad aiutare una persona colpita, che ne so, da un male sociale/emotivo/e fisico ma rimango del tutto indifferente di fronte chi, pur soffrendo, ed avendo la capacità di reagire da solo, non mostra la minima voglia di lottare, ma anzi si limita semplicemente a lamentarsi. Trovo inutile chi mette sempre avanti i propri problemi, piuttosto che risolverli. Mi piace la birra. Anzi la adoro. Così come il corpo femminile. Sono un ubriacone, un perverso, un lussurioso. E va fottutamente bene così. Anche l’aspetto più frivolo di una persona, la qualifica, l’importante è non limitarsi nel giudizio. Il che ci porta al mio senso critico. Sviluppato, preciso, artistico. E la mia non è una critica atta a denigrare quanto piuttosto a descrivere e fornire analisi, dimenticando tuttti quei giudizi che creano solo inutile retorica- 
Sto bene da solo. Solitudine e morte non mi spaventano. Ciò che mi terrorizza è l’abbandono, a quello ancora devo trovar rimedio, e forse mai lo troverò. Mi fanno più paura gli amici che i nemici. E ci sarebbe altro da dire, ma tant’è che sono anche pigro, quindi la chiudo qui.          

Inconcludenze di fine anno


Manca poco. E' arrivato il momento di saltare. Mi avvicino lentamente al baratro, un passo dopo l'altro, guardando timorosamente verso il vuoto, ad ogni infinitesimale movimento sento delle piccole pietre che scivolano giù, scomparendo nel nulla di questo futuro. Apro le braccia quasi a cercare un appiglio. Ho di nuovo tre mesi, mi è tornato il riflesso di Moro. Ed eccoci qui. Sul confine tra quel che sarà e ciò che è stato. STOP.
Torniamo un attimo indietro, ti va? Torniamo a quei dieci secondi dell'anno scorso. Tra lenticchie tutte unte, cotechini dal dubbio sapore ed un esercito di calorie ci si apprestava a terminare un anno fatto di goie e dolori. Nelle mie mani, esattamente nulla, come quest'anno del resto. Strano a dirselo ma, nonostante la condizione sia la medesima, è cambiato tutto. Non avevo nulla è vero, ma il 2011 prometteva più di quello che le mie mani fossero state in grado di trattenere. Era tutto lì. Tutto quello che una persona potrebbe desiderare. Bastava semplicemente tendere la mano, afferare la felicità e mettersela in tasca, come un piccolo monile da portare sempre con se. Avrei considerato il fallimento più come un atto di negligenza che di incapacità. E così è stato. Appena ho teso la mano, la felicità è giunta. Splendida, magnifica, assoluta. Perché in questa vita fatta di sventure, qualcosa stava iniziando a girare bene, favolosamente bene. Incredibilmente ho preso tutto con una felicità a cavallo tra l'arroganza e il miracolo. E andava bene così, andava maledettamente bene. Si dice che il peccato più grande in questi casi è proprio desiderare di più. Sputare nel piatto in cui si mangia. Ma non l'ho fatto, perché sul tetto del mondo, si stata divinamente. E allora quale sono state le mie colpe Randy? Perché poi tutto - nel senso più assoluto che si può dare alla parola tutto - è andato storto. Perché non sempre la vita ti dice bene. Perché un singolo errore può pregiudicare il campionato intero. E no, Guinizzelli al cor gentile non rempaira sempre amor, ti sbagliavi all'epoca, così come ti sbaglieresti ora se saresti ancora vivo. E no, l'impegno, la voglia e la determinazione semplicemente non bastano, a volte tutto va male, semplicemente perché deve andare male. E forse non ci si dovrebbe lamentare. Forse non si dovrebbe fare il conto delle lacrime versate, dei sorrisi persi e delle speranze scompare. Forse non si dovrebbe più mentire. Forse si dovrebbe eliminare le cause di tutte le bugie, di tutte le incomprensioni; le cause delle cose dette a metà, dei volti mai mostrati. Forse è anche giusto così. Forse è proprio così che deve essere. E forse quest'anno ho avuto troppi forse. Forse è il problema è stato proprio il FORSE. E se questa è una certezza, ho impiegato troppo tempo a capirlo. 
E poi, poi nulla, eccoci di nuovo qui, al momento di saltare. Perché saltando mi ribello. Perché saltando avrò modo di andare avanti senza guardarmi indietro. Ed io, caro Randy, chi meglio di me lo sa, non ho mai creduto in nulla. Ma ora è il momento di saltare, è il momento di credere. Il salto della fede. Ed è un salto che devo fare IO non tu, tu resti qua, nell'anno in cui mi hai accompagnato, nell'anno in cui ti ricorderò. A modo tuo, sei stato un amico. Ed io non so se mi sfracellerò al suolo o se, come pensavo poco tempo fa, ho di nuovo le ali adatte per volare. Ma io mi fido. Questo è il mio salto. E' il mio baratro, e se non ho mai creduto in nulla, questo è il momento giusto per iniziare a credere in qualcosa. Ad occhi chiusi, come nel più dolce dei baci, salto. E quello che verrà dopo, potrebbe essere qualsiasi cosa.

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