La storia dei quasi

Un blog, un'idea, l'incessante voglia di dire qualcosa, anche qualcosa di inutile non fa differenza. Eppure eccoci qua. Se sei approdato su queste pagina sappi che non è colpa tua, l'autore si assume la piena responsabilità di ciò che accade tra queste pagine, o anche di ciò che non accade.

I Quasi della Vita è un posto come tanti, una storia come tante. La storia di come nella vita qualcosa può andare bene ma, per un motivo o per un altro finisce male. La storia di come quel piccolo, infinitesimale e bastardissimo "quasi" separa la gloria dall'ennesima cosa incompiuta. E questo ti basta sapere.

lunedì 27 agosto 2012

Lettera ad una sconosciuta - Numero 3



Ciao Sconosciuta.
Sono stato via, anche tu del resto. Eppure eccoci di nuovo qui, con la nostra inconsistente conoscenza, a raccontarci parole non ancora dette. A volte ti vedo. Ti scorgo tra lo sguardo della gente. Ti vedo negl’occhi accesi di chi legge un libro. Ti vedo sulle labbra di chi cerca di regalare un sorriso a qualcuno un po’ giù. Sei lì, in tutte le tue forme. Esisti in una piccola frazione di secondo. Sei l’istante di vita migliore che conosca.
E’ uno spazio infinitesimale eppure così grande ai miei occhi. Il sottile confine in cui la materia si fonde con lo spirito. Tu sei lì. In quel centimetro in cui tutto è in perfetto equilibro.
Quando ti vedo in forme altrui ho paura. Sì, paura. A furia di vederti vestire vite altrui ho paura di confondermi, di innamorarmi di una sconosciuta che in realtà non mi conosce.
Tu sai chi sono. Mi vedi. Queste parole ti dicono tutto. E’ una lingua che solo io e te conosciamo.
Un giorno verrò da te con la canzone della mia vita e tu saprai già lo spartito a memoria. Col sorriso sulle labbra mi dirai che la mia è una melodia fantastica ma incompleta. E la cosa più bella è che ti basterà un dito. Toccandomi scoprirai una nota che non sapevo di avere. Sarai tu la mia ottava nota. Ed eccoci lì, in quel piccolo spazio, insieme a cambiare musica.
Intanto aspetto il giorno in cui, accordandomi l’anima, inizierai a suonarmi…




domenica 5 agosto 2012

Sogno 3-08-12


Per quanto ci sia qualcosa di profondamente umanistico - a tratti anche da sfiorare leggermente l'arte - c'è qualcosa di altrettanto matematico, sepolto da qualche parte. Un frattale infinito, distante, capace di riemergere con matematica cattiveria di tanto in tanto.
Nel sogno ero un professore di matematica artistica. Avevo la mia bella classe, una giacca orrenda (che fa enormemente cliché) e spiegazioni astruse, probabilmente inutili, sull'arte.
Guardavo i miei studenti, come se da me dipendessero i loro pensieri. Gli chiedevo: <<Allora ragazzi, chi sa dirmi i rudimenti matematici dell'arte?>> Ovviamente, nessuna risposta. Vado alla lavagna e inizio a scrivere: pittura, scultura, lettura...
Cos'è la pittura? In molti direbbero che l'arte attraverso la quale si fissano pigmenti colorati su un determinato supporto allo scopo di ricreare un'immagine scelta dall'autore. Spiegazione semplice ma ineccepibile. Dico alla classe che non basta. La radice matematica della pittura deriva dalla semplice addizione. Il pittore non fa altro che aggiungere la vernice alla tela, unisce i colori tra di loro, somma le sfumature con le linee. La sua non è altro che una complessa equazione artistica, in cui la capacità più grande è espressione di una corretta analisi dello strumento di lavoro unito al materiale a disposizione. Le stessa immagine va scomposta in tante più piccole. Un corpo è un insieme di arti e organi, un paesaggio è il risultato di un'addizione naturale di elementi. Il pittore non è altro un matematico che fa dei colori il suo abecedario.
Spiego ai miei studenti che lo stesso discorso va fatto con la scultura, solo che questa, invece, è un'arte sottrattiva. Usate l'immaginazione. Concentratevi su un blocco di pietra grezza. Lì, in quello stesso blocco, c'è l'opera finita. Basta solo eliminare i pezzi in eccesso. Lo scultore non fa altro che applicare una sottrazione artistica al suo materiale. La sua dote risiede unicamente nel saper riconoscere la differenza tra utile ed inutile, tra arte e prodotto di scarto. Fatto questo non deve far altro che sottrarre.
E questo vale per qualunque cosa. Cos'è la scrittura ragazzi? La grammatica non segue forse leggi molto simili alla matematica? Un capolavoro letterario in cosa si differenzia rispetto un frase senza senso? Ovviamente dalle parole usate e dal loro ordine. La scrittura è una duplice arte, fatta di ordine e probabilità. L'artista, usando il dizionario come prodotto grezzo, non fa altro che disporre ordinatamente le parole e, riassumendo il tutto ad una questione di probabilità, ogni parola scelta in quella determinata posizione, farà in modo che il componimento possa risultare sia grammaticalmente adatto sia stilisticamente perfetto. La scrittura fonde l'arte additiva e sottrattiva. Si aggiungono le parole più adatte, e si sottraggono quelle prive di senso. Il resto è solo un calcolo probabilistico. Un'insieme di equazioni di successo. Il grande artista ha la capacità di rendere Il Teorema dell Scimmia Instancabile un fenomeno routinario, in cui premere un tasto a caso non è tanto un caso.
I miei studenti sembrano convinti, affascinanti. La campanella suona. Alla prossima lezione...

giovedì 2 agosto 2012

Infradito


L’agente che mi sta di fronte mi guarda come se fossi pazza. Il suo collega, invece, ha lo stesso sguardo di chi si trova davanti ad un cucciolo preso a sprangate. E’ buffo ma tutti gli uomini della mia vita mi hanno sempre visto nello stesso modo, per loro o ero una squilibrata o una povera deficiente indifesa. A trent’anni suonati, ancora devo decidere quale delle due cose sia più irritante.
Entrambi mi fanno domande su domande. Dicono che tutti i dettagli possono essere utili. Dicono che posso farcela, che sono forte, che sono stata brava. Si sbagliano. Sono solo triste e patetica. Cerco di restare concentrata. Restare in questo posto che gli altri chiamano realtà è tremendamente difficile per me. Da quando mi hanno violentata tutto è tremendamente difficile per me. Non sono più una persona, ma un riassunto umano. La versione integrale di me è rimasta lì, in quel vicoletto sporco di ingiustizia e lacrime.
Gli agenti continuano a parlare. Ormai li ascolto a tratti. Mi sento come una televisione rotta che perde il segnale in continuazione. Se c’è una cosa che non mi è stata strappata via quella sera è la mia fantasia. Quando mi assento dalla realtà mi sento protetta. Tutti abbiamo un piccolo rifugio. Un luogo in cui il resto del mondo non esiste. Un piccolo spazio inviolato in cui si sentirsi protetti.  Come la mano di un bambino che stringe quella materna, come il caldo abbraccio della persona amata. Un nascondiglio in cui fuggire quando il mondo fa paura. Durante i miei viaggi non può succedermi nulla, ed è solo in quei momenti che riesco a trovare un po’ di pace.
Gli agenti continuano a blaterare. Non riescono a fare a me di parlare della mia forza. Della mia straordinaria capacità di reagire. Che ne sanno loro? Se solo sapessero come cammino per strada. Ho paura. Ho tremendamente paura. Una volta era una persona normale, ora sono solo triste, patetica e paranoica. Cammino guardando male chiunque, persino dei bambini che giocano mi sembrano dei potenziali stupratori. Ogni passo che faccio è incerto. Non importa quale sia la via, io cammino sempre su una fune sospesa per aria. E il guaio è che non ho la minima idea di quando farò un passo falso.
Mi ricollego al mondo reale, ma non vorrei. Alcune domande mi riportano a quegl’attimi. Tremo. E’ buffo come si finisce a pensare alle cose più assurde mentre ti stuprano. Prima di arrendermi definitivamente ho pensato che era assurdo essere violentate in infradito. Sarà che sono particolarmente esigente sul vestire e pretendo l’abito giusto in ogni momento ma, incredibile a dirlo, se mi fosse stata concessa la possibilità di scegliere avrei impiegato un’ora per decidere che scarpe mettere. Questo però lo tengo per me, sono già abbastanza pazza agl’occhi dell’agente.
Ho sempre vissuto nella sicurezza che certe cose accadono in posti lussuriosi, nei viottoli vicino a night-club e localini esotici. A me è successo mentre tornavo a casa dopo aver fatto la spesa. Se questo mi rende ancora più patetica o particolarmente attraente da meritare uno stupro, questo proprio non lo so. Ricordo la lotta, la volontà di sopravvivere. La forza con cui volevo difendere qualcosa che fino a quel momento avevo considerato solo mio. La parte più triste è stata la consapevolezza di ciò che sarebbe successo. Non il dolore, non la paura, a distruggermi è stato il terrore dell’inevitabile, quella sensazione che ti prende quando ti senti assolutamente indifeso. Così mi sono lasciata andare. Mi sono spenta. Ero lì, ma allo stesso tempo viaggiavo lontana, al di fuori del mio corpo, al di fuori di tutto.
Ecco cosa racconto agli agenti quando mi chiedono come sto. Quel giorno sono stata svuotata. Hanno aperto un buco in me e da lì è fuoriuscita la mia anima. Da allora con la testa viaggio alla ricerca di me stessa. Lo so, sono lì, da qualche parte. Magari un giorno mi ritroverò a sedere tranquilla ad un bar. Chissà se avrò un bel paio di scarpe. Del resto, cosa volete che faccia una donna patetica?




mercoledì 1 agosto 2012

Una vita di citazioni Vol.3

Oggi è il turno di David Grossman. Come tanti altri riesci a racchiudere intere filosofie di vita in singole - splendide - frasi.


Amore è il fatto che tu sei per me il coltello col quale frugo dentro me stesso.


Anche solo immaginare il tuo modo di parlare mi calma. E mi rende felice. Mi scorre nel corpo come una medicina, facendoti gorgogliare dentro di me. Non smettere. Non smettere mai.



Dopo aver fatto l'amore, dormiremo abbracciati. La tua schiena contro il mio ventre. E io stringerò le dita dei piedi attorno alle tue caviglie, come delle mollette, perché tu non possa volar via la notte. Saremo come un'immagine in un libro di scienze: un frutto tagliato a metà, tu la buccia e io il torsolo.



È una legge non scritta: chi vuole starmi vicino deve assumersi la responsabilità della mia anima. Perché qualunque idiota può capire come sia facile uccidermi. Uno sguardo ben mirato basterebbe. Sono convinto che da qualche parte, dentro me, c'è un punto vulnerabile che chiunque, anche uno sconosciuto, può vedere e colpire. Eliminarmi con una parola.



Ma solo per iscritto, lascia che rimanga così. Con la speranza di avere entrambi la forza di combattere ancora le seduzioni della realtà.



Mi stringerai ancora più forte e mi bacerai con tutta l'anima, come se, così facendo, riversassi in me tutto quello che è racchiuso e celato in te, che si aprirà e si svelerà nel mio corpo, piano piano, finché tutto si scioglierà.



Se potessi ti comprerei una casa grande enorme capace di contenere la tua anima e la riempirei con tutti i tuoi sogni grandi e piccoli.



Parleremo una nostra lingua e racconteremo le nostre storie, e ci crederemo con tutte le nostre forze, perché in mancanza di un luogo privato come questo -dove quello in cui crediamo si realizzerà, anche solo per iscritto- la nostra vita non sarà tale; o peggio ancora, la nostra vita sarà solo un vita... Sei d'accordo?



Ma dentro di me esisti in un modo che mi atterrisce.



Per un po' forse continuerò ad urlare il tuo nome a me stesso, nel cuore. Ma alla fine la ferita si cicatrizzerà.



Ma a dire il vero ho parlato solo di te, cos'ho visto in te, e non sono capace di lasciarti andare senza che tu sappia cos'è successo a me in quei momenti.



Ma io ero ancora libero, cioè libero di sbagliare.



E la cosa incredibile è che ho visto come fuggivi senza muoverti dal tuo posto, sfruttando quella momentanea distrazione per sparire.



Qualche tempo fa hai scritto che, se qualcuno rifiuta di conoscere un tuo sentimento particolarmente intenso, ti senti come se quella persona ti stritolasse, ti uccidesse.



Niente fantasie, niente sogni. E se qualche volta ti sei lasciata andare, è stato solo per mezzo d'opere d'arte, pittura, canto, musica naturalmente. Ma sempre giungeva la 'realtà' a sollecitarti. Come si fa con uno schiavo che cerca di fuggire. Allora cosa ti è rimasto? Dove hai vissuto?



Che sollievo. Il sollievo dell'armatura che scopre dentro di sé un cavaliere ancora vivo.



Ogni tua parola è caduta esattamente dove era attesa da anni.

In fondo non mi sorprende. A volte penso che forse, all'inizio, è stata la tua ferita ad attrarmi.



Sai, a volte, mentre ti scrivo, provo una strana sensazione, totalmente fisica, come se prima di poterti parlare fossi costretto a vedere le parole che mi abbandonano in una lunga fila per giungere fino a te, per consegnarsi nelle tue mani.



È il segreto che ti sussurro all'orecchio già da un mese: noi due non siamo vivi! Voglio dire, non in un luogo in cui vigono le leggi ordinarie che regolano i rapporti tra le persone, tantomeno tra uomo e donna. Dove siamo, allora? Non m'interessa saper dove, perché dargli un nome? 


Sarebbero comunque nomi "loro", nomi tradotti, e con te voglio una costituzione diversa di cui saremo noi a fissare le leggi.



Perché a volte, nei momenti più impensati, per strada, puoi sentire l'anima lacerarsi, catturata dalla storia di qualcuno che ti è appena passato accanto.



I tuoi occhi, grandi, scuri e belli, per un istante si sono aggrappati ai miei e insieme ci siamo raddrizzati e rialzati, grazie quasi alla sola forza dello sguardo.



E cosa c'entriamo noi con la realtà? Che spazio sarebbe disposta a lasciarci?



Volesse il cielo che due estranei vincessero l'estraneità.



Hai descritto te stessa per eliminare qualsiasi dubbio, ti sei riassunta in una sola frase, oltretutto tra parentesi. 



Se è davvero così, se ti senti tra parentesi, permettimi allora di infilarmici dentro, e che tutto 
il mondo rimanga fuori, che sia solo l'esponente al di fuori della parentesi e ci moltiplichi al suo interno.


Quando sono con altra gente (mi è venuto in mente stasera, mentre facevo il bagno a mio figlio) – non importa se estranei o molto vicini – c'è un pensiero che non mi abbandona: sanno tutti fare con naturalezza ciò di cui io mi sento assolutamente incapace: mettere radici.



È stupido cercare di spiegare (e tuttavia non riesco a smettere), ma è sempre così per me. In qualche punto, molto vicino, si accumula qualcosa – o qualcuno – che implora di esplodere, soffocherà non trovando uno sfogo e, anche se non mi è assolutamente chiaro cosa – o chi – sia, capisco perfettamente il suo bisogno di erompere, sento chiaramente il suo grido soffocato.



Come se tu mi avessi teso una mano, facendomi superare il confine oltre il quale si trova la luce.


E com'è possibile che chi ha osato esprimere un desiderio così grande alla vita provi anche tanta paura nei suoi confronti?



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